30 settembre 2013

Essere felicità

E' stata come un'illuminazione, come quando ti viene in mente, di colpo, quella parola o quel nome a cui pensavi da tutto il giorno.
Perchè è capitato proprio mentre si giocava a ce l'hai. O acchiapparsi. * Chiamiamolo come volete.
Quando ti rincorri, tocchi qualcuno e poi devi scappare perchè adesso ce l'ha lui.
Bene nel nostro salotto, che non assomiglia a una reggia, tra tavolo, sedie, divano, mobile, giochi vari, correre non è proprio quello che riesce meglio. Eppure è un gioco che facciamo da qualche sera finendo sfiniti. Perchè si può fare, anche se pensi che non c'è lo spazio.
E tra pochi mesi lasceremo questa casa che è la nostra casa, che è noi tre.
C'è stata una casa solo mia tanto tempo fa, poi c'è stata una casa solo nostra, mia e sua, e poi c'è stata questa. Ogni casa una vita. Ogni casa ricordi. Ogni casa una fine. Ogni casa un inizio. Ogni casa nuovi noi.
E questo sarà il mio secondo trasloco con la pancia. Non riuscivo più a crederlo possibile. Non avevo mai smesso di crederlo.
E allora ci si schiva, ci si rincorre, ci si nasconde sotto il tavolo ma soprattutto si ride. Si ride davvero.
E sembra sciocco detto così semplicemente ma ho proprio realizzato, di colpo, quanta felicità.
Tutta in una stanza. Tutta nostra.
Tanto mia, così concreta. Così come se non mancasse più nulla.
Non mi manca nulla. E' davvero una strana sensazione. Quella che volevo. Quella che auguro.
E avrei dovuto ridere così di cuore anche prima. Molto più spesso.
Perchè era già tutto in questa stanza.
Me lo devo ricordare per il futuro. Sta tutto a me.
La felicità produce felicità.



*grazie a questo post scopro che esiste una pagina Wikipedia di questo gioco. Io amo il web.

26 settembre 2013

Figlia? Aiuto.

La domanda più frequente di quest'ultimo periodo è: allora sai già cos'è?
E sì, a dieci settimane e una pancetta che sembra più dovuta all'abbuffata della sera precedente che alla presenza di un mininano, certo che lo so. Sono bravissima a prevedere il futuro.
Cosa ti senti? Come se potessi dedurre da quel gusto ferroso in bocca con cui convivo se è maschio o femmina. Non lo so.
Con il secondo figlio sembra che saperne il sesso diventi la cosa più importante. Spesso prima ancora del come stai.
Perchè pare che se fai la coppia bene, se fai doppietta, beh peccato.
Sembra una follia agli occhi degli altri, ma quando passi tanto tempo a cercarlo questo secondo figlio, che sia un altro maschio o una femmina è l'ultimo dei tuoi pensieri.
Tu lo vuoi e basta, che sia quel che sia.

Però adesso che mi ci fanno pensare tutti, credo che se si potesse scegliere forse vorrei un altro bambino.
Perchè?
Perchè una bambina sarebbe una figlia.
Sarebbe un rapporto madre-figlia.
Ed è la relazione che io considero più difficile in assoluto. Per esperienza.
Non che crescere un uomo giusto e rispettoso al giorno d'oggi sia una passeggiata. Ma è sicuramente diverso.
Madre-figlia è un rapporto intenso, intimo, femminile, un rapporto tra donne.
E come tutti i rapporti tra donne, complicato. Con delle potenzialità incredibili, come solo i rapporti tra donne sanno essere, ma complicato.
Non so se sarei pronta.

Da figlia non ho mai vissuto un giorno della mia vita in modalità "una mamma per amica". Per quanto mia madre sia una persona splendida. 
E' una donna in gamba, piena di energia e buon cuore. Molto gentile. Di quelle gentilezze anche un po' esagerate, per non dire fastidiose.
Semplicemente non abbiamo mai connesso.
O meglio, forse lei avrebbe anche voluto ma io ho sempre alzato un muro.
Perchè? Non lo so.
Forse perchè non mi sono mai sentita molto a mio agio con lei. Non sono mai stata davvero me stessa, un pò perchè era più facile, un pò perchè difficilmente lei stava dalla mia parte.
C'è stato il periodo in cui mi adattavo ad essere come voleva lei per non deluderla.
C'è stato il periodo in cui ho cominciato a vederla come una debole. Troppo. E trascinava tutti nella sua debolezza.
C'è stato il periodo in cui non ne sentivo per niente la mancanza.
C'è stato il periodo in cui ci siamo scontrate di brutto. Ancora adesso, che sono qui a sdrammatizzare i miei drammi adolescenziali da sola, le rimprovero dentro me di non esserci stata. Di non aver provato a capire tante cose. Di aver sempre sminuito e ridicolizzato. Di non aver ascoltato senza interrompere in continuazione. 
Lo so, non sono mica l'unica. Alzi la mano chi non si è sentito così a 15 anni.
Sta di fatto che non è mai stata una mia confidente. Non è mai stata il mio punto di riferimento. La spalla dove piangere il primo amore finito. La persona con cui comprare un vestito per sembrare più carina. Con cui condividere un pomeriggio di chiacchiere senza guardare l'orologio. Non sono mai riuscita a spiegarle cosa si prova a cercare un figlio che non si decide ad arrivare, e se ci provavo la sua conclusione era: "devi solo smettere di pensarci". Ecco, ho detto tutto.
Troppo lontane come mondi? Può essere.
Troppo bisognosa di indipendenza io? Può essere.
Sono felice che non sappia di questo mio piccolo spazio di scrittura. Non vorrei che leggesse queste cose. Non voglio incolparla ora, l'ho già fatto abbastanza.
Devo lasciarla andare. Proprio come scriveva la Gamberale nel suo libro.
Probabilmente sono io che non funziono a dovere. Che non so relazionarmi con lei.
Non so accettare che siamo diverse e prendere il bello da questa diversità.
Abbiamo un rapporto civile, ora che siamo donne entrambe, ci vogliamo molto bene, ma siamo anni luce da quello che intendo io per un riuscito rapporto madre-figlia.
Forse semplicemente sono io che ho un'idea sbagliata. Aspettative troppo elevate. Illusioni.
Forse è davvero troppo essere madri, figlie e amiche allo stesso tempo.

Sta di fatto che sotto sotto vorrei anche provare ad essere io la madre di una figlia.
Ma se non dovesse succedere credo che tirerò un sospiro di sollievo.

19 settembre 2013

no, io non vado alla #mfw

C'è un momento ogni anno, anzi per la precisione due, in cui non so cosa darei per lavorare nella moda.
La Milano Fashion Week.
La parte più superficiale e materialista di me prende terribilmente il sopravvento.
Vorrei essere lì, dalla mattina presto a notte inoltrata, tra una sfilata e l'altra, tra colori, musica altissima e luci abbaglianti. Vorrei vedere da vicino quei vestiti che visti lì in quel momento non sembrano nemmeno troppo immettibili. E poi li guarderei dimenticandomi il mio conto economico e il mio principio per cui troppo è un'offesa e immaginerei di comprarmi questo e quello. Vorrei arrivare al terzo cocktail party della giornata con una mise molto azzardata, che non metterei qui nella mia città nemmeno se fossi completamente ubriaca. Tanto ci sarebbe sempre qualcuno più appariscente di me.  E poi mi vedrei a sorseggiare un Martini (che nella realtà mi fa schifo), fare sorrisi, chiacchierare di nulla con gente sconosciuta il tutto indossando con nonchalance un tacco 12, ma che dico, 15...

E invece mi guardo le gallery delle sfilate dal mio divano.
E per la cronaca adesso sono in mutande e calzini. Non bianchi, giuro.

Però una cosa fescion l'ho fatta la scorsa settimana. Sono stata al Vintage Festival di Padova.
Per fortuna che ci pensa la mia città.
Non è male, è mostra mercato, workshop, appuntamenti interessanti.
E' aperitivi musicali.
A cui io ovviamente non ho partecipato.
Diciamo che ultimamente vorrei dormire spesso e sicuramente vado a letto presto.
Diciamolo pure, molto presto.

Se fossi alla settimana della moda probabilmente oggi mi sarei addormentata nel bel mezzo della sfilata di Fendi.











Le foto più belle le avevo pubblicate qui
Era il mio pensiero colorato e spensierato per Lucia. 
E lo dico ancora: grazie per quello che fai, Lucia.

18 settembre 2013

Tanti auguri Lucia. Ti regalo colori e leggerezza.

Mi piacciono le scarpe stringate.
Mi piacciono gli occhiali anni '70. Quelli che coprono qualsiasi occhiaia.
Mi piacciono i bauli. Ne vorrei uno vicino al divano, come tavolino.
Mi piacciono i vestiti colorati. Per questo preferisco l'estate.
Mi piacciono le gonne a ruota.
Mi piacciono i cappelli. Sono la salvezza quando non hai proprio voglia di lavarti i capelli.
Mi piacciono di più le borse che sono vissute. Che sono già servite a qualcun'altro.

E a te, cosa piace?
Gioco sempre con mio figlio a "pensa una cosa".
Facciamolo insieme.
Pensa a una cosa colorata e leggera che ti piace.
E noi proviamo a indovinare.















TANTI AUGURI LUCIA.

Ti immagino con una gonna a ruota molto anni '50 e un paio di occhialoni alla Audrey Hepburn, mentre balli, con un bellissimo sorriso.
Questo ti auguro.
Buon anno zero.





#tiguardonelcuore #augurilucia @zelda 

15 settembre 2013

consigli di lettura 2

Eccomi qui con la seconda parte di consigli di lettura. (parte prima qui)
C'è poco da fare, la fatina il giorno della consegna delle qualità si è un pò distratta e la dote della sintesi non me l'ha data, nemmeno un pò.
L'Oscar per il miglior libro dell'estate non va alla Gamberale ma a una scrittrice che come la protagonista del suo romanzo tiene dentro di sè due mondi, e ne cerca l'equilibrio.
(Ne aveva già parlato Mimma qui e Drusilla qui)
Mi ero persa la recensione di Mimma nei meandri del web, e mia madre mi aveva tenuto nascosto questo capolavoro letterario perchè non voleva che lo leggessi, non voleva che entrassi nel dolore di Quamar, la protagonista, e nella sua esperienza di ricerca della maternità. Capisco il suo bisogno di protezione, ma c'è una cosa importante che manca a mia madre: il piacere della condivisione. Il sapere che non cresce la sofferenza a leggere o ascoltare di un dolore simile al tuo, ma una strana sensazione di sollievo, di fraterna vicinanza, di comprensione. E' bello poter vedere le tue stesse paure attraverso gli occhi di altri, guardarle in un modo nuovo o riconoscersi in pieno.
Rende tutto più reale ma anche più accettabile.
Ma andiamo con ordine:

Widad Tamimi - IL CAFFE' DELLE DONNE
Il romanzo è un'armoniosa alternanza tra l'esistenza milanese di Quamar, ormai donna, di origine Giordana ma cresciuta in Italia, e la stessa, bambina prima e adolescente dopo, durante le sue estati passate alla Grande Casa della nonna ad Amman.
Il mondo arabo mi ha sempre affascinata. Nei pochi viaggi che ho potuto compiere in quelle terre (tra cui questo e il mio cuore continua a piangere perchè tutto peggiora) ho solo in parte potuto accontentare la mia voglia di vedere com'è. Per questo la letteratura è un'ottima alternativa, un viaggio a costo zero e per certi versi anche più immersivo di uno vero. Infatti non avrei mai potuto partecipare ad un caffè delle donne se fossi stata ad Amman. Perchè io non sono araba.
Mi piacciono queste donne, all'apparenza così sottomesse, nascoste da veli e sguardi bassi ma in realtà molto forti, molto coalizzate, molto unite, molto combattive e consapevoli.
Mi ricordo di aver osservato a lungo un gruppo di donne completamente velate fuori da una moschea a Damasco e di aver desiderato tanto di intrufolarmi nella loro mente e spiarne i pensieri, senza scrupoli nè giudizio, solo per curiosità. Perchè per me certe cose non sono accettabili, ma mi piacerebbe capire come fanno ad esserlo per altre. Perchè spesso la condizione femminile nei paesi arabi è una violenza alla libertà, ma mi piace pensare che altre volte ci sia una consapevolezza felice dietro quei veli. Perchè forse non è così importante.
Ma torniamo al romanzo che va bene non avere il dono della sintesi ma c'è un limite.
E così, tra racconti di afosi e colorati pomeriggi, il primo amore e la famiglia in un senso molto allargato, si compie il rito tutto femminile e intimo del caffè. Quando si svela anche a lei, la tredicenne Quamar, ed è il suo turno di premere il pollice sul fondo della tazza di caffè, le vengono lette le linee del suo futuro: "Lo vedi questo cuore? Cade dal tuo ventre, più e più volte. Ma tornerai a essere serena e la vita verrà. Quando avrai imparato a raccogliere i frutti della terra, scoprirai la vita fuori di te. Allora sarai felice, e lo sarai molto, molto a lungo. Allah ti darà molti figli, se troverai la strada per accoglierli."
Perchè lei da adulta, da donna che in Giordania non torna da molto tempo, innamorata del suo uomo, rimane incinta. Subito, al primo tentativo. E perde il bambino. Alla nona settimana.
E mentre leggevo il suo dolore sugli scogli della Croazia, un dolore immaginario come la sua protagonista ma molto reale, il mio non era più vuoto, ma vita, senza che lo sapessi. E adesso sono a otto settimane e mezzo. Quasi nove.
Una malformazione genetica, la sua, che le rende difficile portare a termine una gravidanza. Tutte le gravidanze che lei sognava.
E il suo è un  percorso tortuoso, difficile, che fa riaffiorare molto, il suo rapporto con la madre, le sua doppia appartenenza, quella sensazione con cui è cresciuta, non sentendosi a casa in Italia e non sentendosi a casa in Giordania, lontana dalle sue libertà, così ovvie e scontate.
E in lei mi sono rivista molto. Nel suo bisogno immediato. Nel desiderio di un figlio, nel momento in cui lo cominci ad immaginare.
"Da un attimo all'altro scopro una nuova urgenza e nulla riesce a distogliermi dal pensiero di quel bisogno così fondamentale. [...] A quel punto non ci sono domande, non ci sono dubbi. Inutile cercare di spiegarlo, è così e basta. Anzi trovo snervante la pazienza di chi attende domani per qualcosa che è maturo già oggi. E lo è, maturo. Dentro di me conosco tutti i perchè. Ragioni che hanno senso pieno in me stessa, un loro posto e un loro nome."
E poi il dramma. Che separa e non riesce a tenere insieme i cocci. Perchè il dolore anche se comune è comunque individuale. E non è per niente facile starsi vicini quando arriva.
"Ripenso a Giacomo, al suo sguardo desolato e consapevole di questi giorni. L'amore non basta. Ci sono frangenti in cui si è soli comunque, in cui ci si vorrebbe fare compagnia e consolarsi a vicenda ma non è possibile".
La loro coppia viene distrutta da questo dolore, da una lei che non riesce a risollevarsi, e da un loro che si dimenticano a vicenda. "Mi dispiaccio per lui, perchè sento di averlo portato al confine di sè stesso, in quell'atrio remoto e sconosciuto in cui le reazioni perdono aderenza con la volontà e annebbiano l'autostima".
Ma è il suo ritorno in quella che crede la sua terra, negli anni così cambiata, irrigidita e con i limiti alle libertà femminili che le sembrano ancora più stridenti, che le serve a capire. E sono le donne intorno a lei che la aiutano. "I problemi stanno ovunque. Puoi ricominciare da capo mille volte, forse anche con mille persone diverse, ma se gli ingredienti giusti ci sono fin dall'inizio è inutile pensare che sarebbe meglio in un altro modo, con qualcun altro. Le difficoltà di una coppia arrivano sempre, bisogna lasciar sedimentare, l'amore come il caffè."
E poi arriva un bambino. Un bambino che non è loro ma che con loro passa un pò di tempo. Il tempo che basta per capire.
E poi c'è un'amica che racconta com'è.
"< Sai, ho passato anni a cercare un figlio mio, Quamar. Poi ho semplicemente accettato la solitudine della mia incapacità di generare, e l'ho unita alla solitudine di un figlio senza madre, senza genitori, senza futuro. > mentre lo dice il viso le si distende in un sorriso tenero, materno. < Igor è la mia vita, mio figlio in tutto e per tutto. [...] I figli diventano tuoi piano piano, per le cure e l'amore che ci metti, giorno dopo giorno, notte dopo notte, quando corrono felici e quando stanno male e cercano rifugio tra le tue braccia. >"
E lui un giorno si convince. Si convince che "l'amore va oltre, l'amore non dipende dalle somiglianze. L'amore supera le superfici."
Insomma, è un libro davvero bello. Tanto femminile. Per niente scontato. Pieno di riflessioni interessanti.
E in più c'è anche la ricetta per il vero caffè arabo, al profumo di cardamomo.

"A volte ci smarriamo in un labirinto intricato per il solo gusto di perderci la testa. Abbandoniamo l'ordine mentale e la leggerezza affascinati dall'ignoto. Si tratta di scegliere, tra il desiderio di vivere e quello di scavare. Puntiamo lontano, nella disperata ricerca di una perfezione impossibile e scivoliamo a terra incapaci di accettare la purezza della felicità. Quello che ci è più familiare e vicino appare banale e scontato. Lo ignoriamo disprezzandone la bellezza, lo rendiamo sterile e mediocre, ne sottovalutiamo l'autenticità. Aspettiamo di perderlo per riconoscerne il valore."


Volevo scrivere di altri due libri, ma niente. Non ho proprio il dono della sintesi.
Sorry.



12 settembre 2013

Consigli di lettura

Mi sono riconciliata alla grande con il mio lato divoratore di libri e con il nulla che mi creo intorno ogni volta che prendo parole altrui tra le mie mani. Ovviamente raccolte in un libro che mi piace, che mi ispira e che sa prendermi, un pò per le viscere.
Ho letto sugli scogli in Croazia, ho letto alla luce di una candela in campeggio e ho letto tornata a casa, con la pancia abitata.
E' andata molto meglio che quel week end del Redentore.
Alcuni vale proprio la pena di raccontarli, magari in due puntate, così riesco a pubblicarlo questo post, che altrimenti rimarrà nelle bozze in buona compagnia di tutti gli altri, quelli che sì poi magari pubblicherò, o forse più probabilmente no.

Piccola premessa, ho letto anche quello di Gramellini, Fai bei sogni, tanto osannato, e volevo dire la mia, ma mi spiace, non capisco il perchè di tutto questo successo. Sono l'unica? Per carità bravo, ma io questo buonismo mascherato non riesco ad apprezzarlo. Questa troppa semplicità che lo rende perfetto per un Buongiorno ma non so se per un vero romanzo. L'ultima parte è sicuramente commuovente, ma sono certa che se non fosse per gli ormoni e l'argomento madre non avrei versato nemmeno una lacrimuccia.
Un romanzetto, niente più.

Passiamo a quello che invece mi è piaciuto molto:

1. Chiara Gamberale - LA LUCE NELLE CASE DEGLI ALTRI
Non avevo mai letto nulla della Gamberale. E adesso rimedierò.
Devo dire che sentendola a Radio24 non è che mi ispirasse molto, ma avevo bisogno di un libro da 500 pagine saccheggiato dalla libreria di mia madre per ricredermi.
E' scritto magistralmente. E' quella scrittura che piace a me, concisa e leggera, ma allo stesso tempo essenziale. Ma come si fanno a scrivere così tante pagine e farle sembrare pochissime, una dietro l'altra, senza dare il minimo accenno di noia o ripetizione? Chapeau.
E' un romanzo con molti protagonisti, ognuno descritto bene, il minimo per poterlo conoscere, il giusto per potersi ritrovare in un gesto, rivedersi in un'esperienza, riviversi in una sensazione.
C'è Mandorla, la bambina di tutti, e la leggi crescere. Una vita diversa da qualunque altra bambina, una vita piena di mancanze e all'ombra di un grande segreto, ma allo stesso tempo ricca, come solo quella di chi vede, tocca e raccoglie esperienze.
C'è la vecchia Tina Polidoro, sola e zitella, più di come si possa immaginare.
Ci sono Samuele e Caterina e il piccolo Lars arrivato dopo lunghe ricerche e un amore logorato da questa ricerca. Annullato, messo da parte e dimenticato. Finchè finito.
Poi ci sono Paolo e Michelangelo, un pò troppo da clichè a mio avviso, ma molto divertenti e passionali, per lo meno uno visto che l'altro si addormenta spesso sul divano. E Mandorla cresce con l'idea naturale che non ci sia nulla di innaturale.
Ci sono Lorenzo e Lidia, la coppia sempre in lotta, un amore difficile da vedere. Che si nascondono dietro alla domanda classica e spesso ricorrente, ma c'è ancora quell'amore?
"Quand'è che un amore finisce?
Finisce quando non ce n'è più, quando ce n'è troppo, quando in realtà non c'è mai stato. Un amore finisce perchè qualcosa si consuma: allora non bisogna usarlo, forse, l'amore. Ma finisce pure quando non si consuma niente e, anzi: tutto rimane come il primo giorno. Così perfetto che pare finto. E allora forse almeno un pò bisognerebbe usarlo, l'amore. E se poi finisce perchè mentre lo usi ti cade per terra e si rompe? Anche quello può capitare. Così come che lo lanci per aria, per giocare, e quello però non torna più indietro: può capitare. O magari finisce perchè te lo scordi da qualche parte, perchè lo vuoi tenere sempre chiuso in tasca per non perderlo, ma così marcisce, va a male. Finisce perchè andavi di fretta, finisce perchè rimani indietro, finisce perchè vuole finire, perchè deve finire. Finisce perchè non c'è cosa più impossibile da tenere a mente, quando un amore comincia, che potrebbe finire."
E poi per ultima c'è la famiglia perfetta. Perfetta perchè si è imposta di esserlo e piuttosto di rischiare e di uscire dalla tanto progettata perfezione vive senza voler sapere.
E poi c'è la mamma. Una mamma che in realtà non c'è più. Ma con cui Mandorla parla.
E una verità, che non salta fuori. Perchè "siamo tutti all'oscuro di qualcosa che ci riguarda".

"I genitori fanno quello che possono Mandorla: tutti. Anche quando sembra il contrario. Il problema è che mentre sono madri e sono padri non smettono di essere anche esseri umani. Ecco perchè sbagliano, inevitabilmente. Chi più, chi meno: sbagliano. Ma prima o poi bisogna perdonarli. E lo sai qual'è l'unico perdono possibile?
Qual'è mamma?
L'unico perdono possibile che possiamo concedere alle nostre mamme e ai nostri papà è lasciarli andare, a un certo punto. Continuare a volergli bene, se pensiamo che l'abbiano meritato. Ma smetterla di far dipendere il nostro destino dal loro. Altrimenti avremmo solo una buona scusa per non farci niente, con questo destino. No?"


2.  Maurice Druon - IL BAMBINO DAI POLLICI VERDI
Non è assolutamente una novità, ma è un piccolo capolavoro scritto nel 1967, un Sellerio (e già questa è una garanzia), semplicemente meraviglioso, che non vedo l'ora di leggere con il mio nano. Con i miei nani potrei dire (!!!). Perchè oltre alle parole ci sono disegni, semplici e bellissimi.
Il protagonista è Tistou, un bambino speciale "non come gli altri" come lo definisce la sua maestra, ma in senso negativo, "questo bambino deve essere sorvegliato da vicino, si pone troppe domande" o ancora "un bambino distratto e osservatore. I suoi generosi sentimenti gli tolgono il senso della realtà". 
E' semplicemente un bambino che non ammette che i grandi gli spieghino il mondo con idee precostituite. Lui rivolge uno sguardo nuovo sulle persone e le cose, spesso distrugge i ragionamenti degli adulti che hanno il giudizio falsato dagli occhi dell'abitudine. "Ogni bambino è impaziente d'agire nella direzione d'un bene comune e per questo aspetta il miracolo di diventare grande. Quando poi ci diventa di solito dimentica quello che voleva fare, oppure ci rinuncia. Così non avviene nulla, c'è solo un grande in più, senza miracoli".
Tistou cambia le cose, cerca di migliorarle, di riqualificare il quartiere più povero della città, di rendere più accogliente una prigione e più sorridente chi vi è rinchiuso e lo fa con i fiori.
Lui ha il pollice più verde che si possa immaginare. Lui può far crescere i colori solo dove c'era grigio e lacrime. Lui può rendere le cose inspiegabili.
"I grandi hanno la mania di voler rendere a tutti i costi spiegabile l'inspiegabile. Tutto quello che li sorprende li tormenta, e quando nel mondo succede qualcosa di nuovo, essi si accaniscono a voler dimostrare che quella cosa nuova assomiglia ad un'altra già conosciuta."

Ecco, dopo aver letto questo libro, mi darei al giardinaggio sfrenato. Peccato che non stia cominciando proprio la stagione giusta. E che il mio pollice sia davvero davvero nero.


"I fiori impediscono al male di passare"

9 settembre 2013

è vero stupore.

Sono un pò in un limbo. Sono davvero alle prese con qualcosa di tanto tanto nuovo.
E come la prima volta mi arrabbio perchè non riesco a godermela come volevo.
Fondamentalmente ho un pò paura.
Fondamentalmente, tanto per cambiare.

Da una parte ho quella paura brutta, paragonabile ad un incubo che ti risveglia nel cuore della notte.
Che possa andare storto qualcosa.
Perchè è davvero una cosa pazzesca.
Dall'altra non riesco a crederci, è come se il meccanismo di tanti mesi passati a sperare ma convincendosi a tenere i piedi per terra avessero lasciato un modus operandi.
Un modo di guardare alle cose. A questa cosa.
Perchè quando passi tanto tempo a cercare e ci sbatti il muso più e più volte, continui a sperare perchè deve essere, ma hai un pò paura a sperare troppo.
Perchè la delusione sa essere tanta, e anche un pò meschina.
Come se cercando di non credere troppo nel tuo sogno facesse meno male poi il sogno infranto.
Sono patetica. Lo so.

In realtà gioisco molto (e direi, mi viene da aggiungere) e ho molti piccoli momenti che sono solo miei. In cui ci parlo.
In cui mi guardo.
In cui comincio a progettare.
E la cosa bella che ho realizzato è che è proprio come la prima volta.
Lo stupore è sempre quello.
Io sono profondamente stupita.
E' vero stupore.

E' come se mi innamorassi davvero solo ora di quello che è stato, a ripensarmi con lui, quando eravamo noi i due cuori, ora che lo conosco, che so chi è, che sento come siamo, è tutto più facile.
Sono le paure che sono diverse.

Comunque solo oggi ho disdetto il mio appuntamento in ospedale, clinica ginecologica pma.
Ho raccontato al mondo che sono incinta e non ai dottori che la prossima settimana avrebbero dovuto indurmi alla fivet.
Perchè?
Perchè ho paura. Perchè non si sa mai.
E invece devo crederci e basta.
Andrà tutto bene, ricomincerò a farmi altre paranoie.
L'ho disdetto solo adesso. L' Appuntamento.
Qui da sola sul divano.
Perchè Lui ci crede da sempre e per Lui era disdetto da subito.
Venerdì lo vedo. Il mininano.
E dovevo essere libera da altri "appuntamenti" per dimostrargli che mi fido.

E qual'è stato il primo pensiero dopo aver cliccato su conferma disdetta prenotazione?
Ho pensato a lei.
Domani mattina chiamerà per sapere se si è liberato qualche appuntamento prima del suo (che sarà sicuramente fissato tra mesi e mesi) e lo farà con un pò di disillusione, la solita, come una cosa abituale a cui hanno sempre risposto no, mi spiace.
E invece le diranno: Sì, si è liberato un posto la prossima settimana. Può andare?
Ho immaginato il suo sorriso.
Le auguro di incontrarci l'anno prossimo con le occhiaie da notti insonne entrambe, e nessuna paura.

3 settembre 2013

ultimamente

Mi commuovo quando vedo sullo schermo un cantante, uno di quelli veri, che si emoziona, che canta con tanta energia, esaltato e incredulo, e tutto uno stadio con lui. Perchè la musica da vivo fa molto bene.
Mi commuovo per quella canzone alla radio. E anche per quell'altra.
Mi commuovo quando vedo un atleta vincere. E tra le gocce di sudore intravedo il suo impegno.
Mi commuovo guardando mio figlio che disegna le piramidi e le fa di mille colori.
Mi commuovo quando nel mezzo del mercato, tra carote e pomodori ho un flash: sono incinta. Ma il fruttivendolo mi guarda un pò perplesso. Perchè anche se non lo credevo possibile ci sono momenti in cui non ci penso. E quando mi torna in mente è ancora meglio.
Mi commuovo quando vedo due sconosciuti abbracciarsi. E rimanere abbracciati per un pò.
Mi commuovo quando leggo. Anche se non ci sono motivi oggettivi per farlo. Bastano belle parole usate insieme.
Mi commuovo se ripenso a quando mi sono commossa.
Mi commuovi mio piccolo cuore, mi fido di te.
Mi commuovo quando leggo i vostri commenti al post della gioia. Grazie. Ancora e ancora.
Mi commuovo quando la mia mamma al telefono mi chiede se la mia miglior amica era bella il giorno del suo matrimonio.
Mi commuovo proprio quel giorno, molte volte, ma una in particolare, dove le lacrime arrivano in massa, calde. Proprio quel momento, in cui mi abbraccia, a cose appena fatte.
E poi anche quando la guardo ballare con suo fratello. Vestita così, bellissima e sorridente.
Mi commuovo la mattina dopo, quando insieme a colazione la guardo e realizzo che ha un marito. E ridiamo insieme.
Mi commuovo pensando ai nostri anni insieme. Alle noi di dieci anni fa.
Alla strada fatta.
Mi commuovo di nuovo ora, a ripensarci ancora.

Viva gli ormoni.

















1 settembre 2013

il post della gioia *


Non ce la faccio. Dovrei essere cauta e aspettare. Continuare la vita normalmente come se nulla fosse. Aspettare che passi un pò di tempo.
Eppure voglio solo urlarlo al mondo intero.
Perchè ho provato a pizzicarmi e sono sveglia. 
Non è un sogno anche se ne ha tutto il sapore.

La vita ha un modo tutto suo per trasformarsi in perfetta felicità.
Sa essere meravigliosa proprio come prima e' stata beffarda.
Sa stupire proprio come prima ha saputo deludere.

La mia vita ha un gusto nuovo. Ed è più viva.
Ho un gran bel pezzo di felicità in più che mi accompagna.
Ho scoperto un sentimento nuovo.
Il mio cuore e' più grande e il mio spirito più leggero.

Sono frastornata.
Sono sconvolta.
Sono emozionata.
Sono innamorata.
Sono felice. Ma solo felice non basta. Sono di più. 
Sono qualcosa che mi è impossibile descrivere.
Non trovo le parole. Tutte insieme sono troppo poco.

È un viaggio nuovo. Tanto atteso e anche se presa un pò alla sprovvista sono pronta per partire.
Un viaggio che cambia la vita. Come solo viaggi così sanno fare.
Un viaggio che ha l'odore del vento e del sole bollente, del mare e dei monti, del cielo terso e dell'ombra del bosco, della metropoli e della sabbia del deserto, tutto insieme.
All'infinito.

Sono incinta.

Io.
Così. 
Senza dottori. 
Senza troppi calcoli. 
Semplicemente. 
Come se fosse naturale. 
Come se questi quasi tre anni di ricerca e delusioni avessero ricevuto la loro lauta ricompensa.
Alla faccia delle due inseminazioni andate male.
Come se non fosse impossibile.

E non posso far altro che gioire da giorni per questo spettacolare mix di magia e fortuna.

E non posso far altro che pensare alle mie amiche virtuali che mi hanno sempre tenuta per mano. E che io continuo a tenere per mano. Stretta stretta. Perchè certi percorsi lasciano un solco indelebile. Così come chi incontri per quella strada.

E non posso far altro che avere anche tanta paura. Paura di svegliarmi, perchè siamo davvero all'inizio.
Sei settimane.
Perchè un giretto al pronto soccorso ginecologico me lo sono già fatto.
Ma la felicità straborda. E batte la paura.

Allora è questo che si prova a cercare e trovare.
Che meraviglia.
Io.
Sono piena.
Sono abitata. 
Io.
Sono più viva che mai. 

Io, Cecilia due cuori.

* cit. di Marzia in un vecchio commento. E' arrivato amica, grazie per aver aspettato con me!